Egidio Ivetic

Il Tommaseo e la sua Serbia immaginaria

Il Tommaseo riscoprì la Dalmazia, la propria patria, durante il soggiorno in Corsica, nel 1838, grazie all’incontro con Adolfo Palmedo, console inglese a Bastia, un tedesco che gli fece apprezzare i versi del poema Hasanaginica (La sposa di Hassan agà). A chi si occupa del Tommaseo è noto questo momento di svolta nella sua esistenza(1). Alle spalle c’era l’esperienza di Parigi (vi visse dal 1835), dalla quale uscì sfiduciato verso la metropoli e la modernità che avanzava. La Corsica rappresentò il ritorno a una vita arcaica ma genuina, un Mediterraneo fatto di comunità, di genti e lingue, di ricorrenze e tradizioni, inteso come una possibile alternativa alla metropoli e ai suoi significati(2). Eppure da quel Mediterraneo, dall’asfissiante atmosfera provinciale della Dalmazia, il Tommaseo volle scappare appena laureato in legge a Padova. Era quello, per un ventenne pieno di aspettative, un mondo stretto, claustrofobico e insopportabile. Giovane e ambizioso, il Tommaseo cercò di raggiungere la grande cultura di allora e si spostò da Padova a Firenze; Venezia, infatti, stava diventando un centro marginale rispetto a una Milano o Firenze. Qui, appunto, il dalmata ha collaborato all’«Antologia» del Vieusseux, fino a quando fu costretto al «primo esilio», cioè a migrare a Parigi, capitale della cultura europea e approdo degli esuli politici.

Durante questo percorso verso il mondo che contava il Tommaseo non aveva reciso i legami con la terra natia. L’amicizia con Antonio Marinovich fu il cordone che lo tenne attaccato alla Dalmazia(3). Il Marinovich era un intellettuale di provincia, laureato in legge anche lui; era in sostanza ciò che sarebbe diventato il Tommaseo se fosse rimasto nella sua Sebenico: un letterato minore immerso tra piccoli interessi, piccoli possedimenti terrieri, beghe locali, insomma una vita da notabilato provinciale con la letteratura come sfogo per nobilitare un’esistenza insoddisfatta. Il Tommaseo scappò da tutto ciò e accettò di vivere in condizioni più disagevoli di quelle che gli avrebbe offerto Sebenico. Visse e operò nei luoghi che il Marinovich poté solo sognare: a Firenze, il centro della cultura italiana, che era la loro cultura, che li accomunava e li faceva distinguere dagli altri dalmati, fossero patrizi, popolani o slavi.

La dimensione del popolo non lasciò mai il Tommaseo, o meglio, fu lui a non voler essere lasciato da essa. In Toscana, nel contado di Pistoia, egli non poté fare a meno di avvicinarsi ai popolani e ai contadini, ai loro canti, racconti e tradizioni(4). Seppe ascoltare come pochi e raccolse, per primo, molte testimonianze orali. Nel popolo toscano e nella cultura popolare vide l’incarnazione della lingua italiana, il passato, il presente e il futuro della nazione italiana. La modernità di Parigi lo coinvolse, ma non lo appagò, mentre in Corsica nuovamente si rivolse al popolo e alla sua arte narrativa. Dunque ecco, nel 1839, il ritorno in patria; un ritorno agli affetti famigliari e ai luoghi dell’infanzia, in una Dalmazia che era rimasta ancora la stessa(5). Di nuovo, semmai, c’era in Tommaseo il riconoscimento della dimensione slava. La ridefinizione di se stesso e del luogo natio passò infatti attraverso il riconoscimento della slavità della madre e della popolazione non italiana della regione(6). Fu un arricchimento culturale e spirituale. Il Tommaseo non divenne slavo, anche se, in qualche momento di euforia, si dichiarò tale(7). Più che altro, il dalmata si compiacque di far parte, anche in minima parte, di quella che si intendeva come nascente grande nazione slava. Questa Slavia apparve, a lui e ad altri, negli anni trenta-quaranta dell’Ottocento, come qualcosa di nuovo, una nuova linfa per il futuro europeo. In tal senso, il dalmata fece proprie molte delle opinioni condivise dalla migliore cultura parigina(8).

Ritornato a Sebenico, il Tommaseo conobbe Spiridione (Špiro) Popović dalmata serbo (anch’egli della stessa città), uomo di lettere formatosi a Sremski Karlovci (Carlowitz), estremamente attento alle novità concernenti i serbi e il Meridione slavo(9). Il Popović rappresentò da subito la novità, un’altra cosa, per il Tommaseo, rispetto al Marinovich (nel frattempo deceduto). E in questa nuova amicizia stette la parte più importante della riconciliazione con la patria: l’orizzonte geografico, linguistico e culturale del Tommaseo ebbe modo di allargarsi oltre la catena dinarica. Il Popović che il Tommaseo chiamò «maestro d’illirico», non solo lo avvicinò alla lingua codifìcata in quegli anni da Vuk Stefanović Karadžić (la variante serba) e da Ljudevit Gaj (la variante croata), ma riuscì pure, direttamente o indirettamente, a metterlo in contatto con loro(10). Il Tommaseo s’impegnò a raccogliere i canti popolari dalmati e illirici: nel primo caso si trattò dei canti relativi alla Dalmazia interna, la Dalmazia delle Krajine veneziane; nel secondo si trattò dei canti popolari serbi, in gran parte attinti dalle compilazioni del Karadžić. Nel 1842, come quarto volume della raccolta Canti popolari toscani, corsi, illirici, greci, furono pubblicati i canti illirici (serbi), mentre i canti dalmati rimasero inediti(11).

Quanto esposto finora è ben noto agli studiosi del Tommaseo, come del resto è nota la forte attrazione che ebbe sullo scrittore la Serbia proprio in quegli anni di svolta, a partire dal 1839(12). La premessa ai canti popolari illirici fu di fatto un trattato sulla storia della Serbia e anche nell’introduzione ai canti dalmati ritornarono i temi serbi(13). Sempre a questi primi anni quaranta risale uno scritto inedito dal titolo Scritti d’un vecchio calogero, dove il Tommaseo si rivolse alle terre illiriche, le «sorelle» Serbia, Croazia, Bosnia, Dalmazia e Montenegro, esortandole ad avvicinarsi sul piano culturale e politico(14).

Non c’è dubbio che la Serbia intesa e vagheggiata dal Tommaseo in queste opere risulta estremamente idealizzata(15). Un paese puro e genuino, agli occhi del dalmata, rispetto ai modi di quello che oggi chiameremmo Occidente, una civiltà piena di autostima ma in fondo ipocrita e «corrotta». Più che un paese, la Serbia si profilava come una categoria etica, protesa tra il medioevo e la contemporaneità; una terra eroica, quindi classica e in certo senso astorica, che, con la sua gente, rifletteva un eroismo raro nel secolo della nascente modernità(16), E qui troviamo certo echi di topoi filosofici sui quali si è forgiato il Tommaseo, dal Rousseau al Vico(17). Si potrebbe parlare di temi romantici e mettere in relazione questa idealizzazione con altri autori a cui s’era ispirato il dalmata(18). Difficile, però, etichettare il Tommaseo: troppo vasta la sua opera e i suoi interessi, una complessità che solo forse oggi riusciamo a cogliere in modo appropriato(19). Chi in Italia e in Europa in quegli anni sarebbe stato capace di padroneggiare una materia come i canti popolari, in più lingue e secondo tradizioni così diverse? I Canti popolari rimangono un grande sforzo di comparazione tra culture diverse, diverse nazioni e diverse patrie. Ecco, ciò che ci interessa in questo breve intervento, in questi spunti di riflessione, è il ruolo di siffatta Serbia immaginaria nell’elaborazione dei concetti di nazione e patria in Niccolò Tommaseo.

Conosciamo le fonti dell’immaginario serbo tommaseiano. L’ispirazione diretta derivava da Špiro Popović, che aveva idealizzato l’Illirico o Meridione slavo, ma anche, non senza qualche cruccio, il principato di Serbia, guardandolo dalla prospettiva dell’Ungheria meridionale abitata dai serbi, cioè da Sremski Karlovci (una Serbia occidentalizzata e occidentalizzante), come pure dalla prospettiva della nascente, ricca e colta borghesia serba, distribuita nell’Adriatico orientale (Trieste, Zara, Sebenico, Cattaro) e nelle città maggiori lungo l’asse che andava da Zagabria a Timisoara. Poi ci sono stati quasi tutti i testi sulla Turchia europea pubblicati in francese, in primo luogo i quattro volumi di Ami Boué sulla Turquie d’Europe, quindi Claude Fouriel e Jèrome-Adolphe Bianqui, infine le idee di Adam Mickiewicz sugli slavi(20). Apparentemente prevale l’etnografia del Boué sulla Real Politik del Popović, almeno questa è l’impressione che ci viene analizzando il carteggio Tommaseo-Popović negli anni 1840-45. I consigli del Popović sono più di carattere informativo, tecnico e linguistico. Il Tommaseo ha attinto molto dal Boué, dal Bianqui e dalle memorie di viaggio di Alphonse de Lamartine(21); si trattava di studi, di reportages di autorevoli occidentali che videro con i propri occhi la Serbia vera, ancora ‘incontaminata’, quella del principato autonomo nell’Impero ottomano. Ecco, bisogna subito puntualizzare che il Tommaseo non soggiace ad alcun orientalismo, ad alcun esotismo di genere: la sua Serbia non è il Vicino (primo) Oriente, a lui essa appare come un paese familiare, un paese europeo, non meno (in fondo) mediterraneo della Dalmazia, Toscana, Corsica o Grecia, cioè dei suoi accostamenti mediterranei.

Il concetto di Mediterraneo ci appare appropriato; ma non lo sarebbe stato per il Tommaseo, che cercava in fondo la classicità culturale, artistica e soprattutto etica, nelle terre simili alla sua patria. Queste terre, in cui ha vissuto e a cui ha dedicato i suoi sforzi creativi, sono state per lui l’espressione di un mondo classico rimasto integro, custodito dalle popolazioni più umili; una classicità che oggi, appunto, potrebbe coincidere con il concetto, magari sbrigativo ma dotato di un suo fondamento, di mediterraneità. Il Tommaseo non aveva visitato la Grecia e la Serbia, prima di quel 1840-42; sarebbe vissuto a Corfù, si sa, durante il «secondo esilio», tra il 1849 e il 1854, mentre la Serbia sarebbe rimasta una terra solo immaginata, immaginaria, per il dalmata.

Una Serbia non ben definita, non descritta geograficamente; si tratta, più che altro, di un’espressione storica, una terra rappresentata dalla propria storia. Anche in Tommaseo ricorre il nesso tra storia e identità, così pronunciato nella cultura serba. Nei suoi scritti incontriamo la Serbia medioevale, quella dei luoghi che ritornano nei canti, un paese proteso verso il sud-est, verso il meridione, collocato tra i regni latini, i turchi e gli arabi(22). Gli eroi serbi si confrontano con altri popoli; ne esce un contesto tutt’altro che isolato, sperduto, marginale nel panorama dell’Europa meridionale. Nella geografia del Tommaseo, quanto precise sono le attribuzioni morali date alla Serbia, una sorta di dinosauro della classicità e un concentrato di virtù, attraverso figure di sovrani, madri, sorelle, eroi, tanto assenti sono i dati anche indiretti sul territorio, i confini, la popolazione, le istituzioni, ovvero ciò era stata effettivamente la Serbia, ciò che aveva fatto il Boué(23). La Serbia del Tommaseo appare come qualcosa di astratto, nonostante letture accurate e nonostante il Popović avesse puntualmente riferito sui travagli interni al principato serbo proprio nel 1840-42. Non c’è dubbio che siffatta Serbia fu un prodotto della poetica ma anche un bisogno esistenziale del Tommaseo, almeno in quegli anni. Si vive meglio sapendo, anzi, presupponendo che in un certo luogo le cose sono davvero come vorremmo che fossero.

La Serbia sembrò al dalmata come una specie di prototipo di quello che sarebbe potuto diventare il carattere nazionale illirico. Il concetto di illirico non fu casuale in Tommaseo, nemmeno si trattò di un sinonimo per dire serbo o croato o slavo. Il suo significato aveva un’estensione maggiore rispetto a quello di serbo, anche se (francamente) nella Premessa ai Canti popolari illirici si fatica a discernere tra illirico e serbo; di fatto si parla del regno serbo, di terre serbe (nelle quali per l’alto medioevo il Tommaseo include la Bosnia, l’Erzegovina, la Dalmazia), di racconti pressoché serbi(24); l’illirico, nominato nelle note, era la lingua, la parlata comune dalla Dalmazia alla Serbia. Gli illirici, come popolo, secondo il Tommaseo, appartenevano alla famiglia degli slavi, come slavi del resto erano i polacchi e i russi; gli illirici rappresentavano il Sud della Slavia («nel mezzodì d’Europa»)(25). Il concetto di illirico gli serve per raccordare singole individualità, collocate tra il regionale e il nazionale, cioè i serbi, i dalmati, i bosniaci, i croati e i montenegrini, e per colmare le differenze tra la sua Dalmazia e la Serbia.

I canti popolari serbi sono intesi dal Tommaseo, benché non lo dica esplicitamente, come un comune patrimonio culturale illirico, quindi non solo serbo(26). In ciò si percepisce l’influenza di Špiro Popović che fu fervente sostenitore dell’illirismo, nel quale vedeva il superamento anche delle dicotomie personali, cioè l’essere serbo dalmata(27); l’illirismo poteva essere un modello di identità comune, inclusivo di varie identità illiriche, compresa addirittura quella italiana della Dalmazia. E probabilmente il Tommaseo conveniva su tali posizioni; ma è altrettanto possibile che avesse in testa una propria variante illirica. Dovremmo certamente parlare di illirismi, cioè al plurale, non di un unico movimento illirico, inteso troppo schematicamente come movimento integrativo nazionale croato. A voler analizzare bene ciò che pensavano un Gaj, uno Špiro Popović, un Tommaseo, un Francesco Carrara, un Medo Pucić (Orsatto Pozza), troveremmo alcuni punti comuni, ma anche distinte varianti. Nelle Iskrice in versione italiana, scritte attorno al 1840, il Tommaseo parla di lingua illirica e di nazione slava; nella versione illirica, croata/serba, l’editore Ivan Kukuljević Sakcinski riporta, o meglio «media» di proposito, i concetti di slaveni, slovinska, jugo-slavenski(28).

La nazione del resto aveva, in quegli anni (1835-48), per il Tommaseo un significato complesso, stratificato, più vicino al modo di concepire le nationes in maniera pre-liberale: «La nazione si considera in relazione al sole ove nacque. La gente in relazione alle altre generazioni. Una nazione può contenere varie genti; d’una gente uscire parecchie nazioni. Le varie nazioni tendono a congiungersi secondo le loro distinzioni per genti. Le varie genti d’una nazione medesima tendono a dividersi in istati diversi. Quindi le divisioni d’Italia», così spiegava nel Nuovo dizionario dei sinonimi della lingua italiana(29). Nelle Iskrice, in versione italiana, affermava: «La lingua è lo spirito dell’uomo, lo spirito della nazione. Dove confuso il linguaggio, anco le anime sono confuse: ove due lingue dominanti, non unanime vita. Tale duplicità mostra due nazioni, in qualche parte estranee l’una all’altra; mostra o nuova guerra o antica, evidente o latente. Il berretto non può soffrire né buttar giù il cappello; né comandare sa, né servire. E dove manca unità, manca forza»(30). Si potrebbe a lungo disquisire su che cos’era la nazione secondo il Tommaseo; sicuramente la questione merita uno studio monografìco.

C’è inoltre l’importante concetto di patria ed esso non ha un ruolo secondario rispetto alla nazione. La patria è la terra d’origine, il territorio, regione si direbbe oggi, provincia si diceva nell’Ottocento. La patria è la Dalmazia, una terra con la sua storia. La Dalmazia, la Corsica, le lonie, ma anche, per esempio, Malta sono delle «quasi nazioni», non sarebbero potute essere mai nazioni a sé, lo riconosceva il Tommaseo, pur possedendo esse un passato e una cultura. Erano regioni-patrie al confine di nazioni che stavano nascendo. Eppure il Tommaseo si sentiva attaccato a queste patrie mediterranee; nel 1860-61 entrò in aperto conflitto con gli annessionisti filo-croati difendendo la soggettività storica e culturale della Dalmazia, pur proclamando la slavità di essa(32). In tale attaccamento alla patria il nostro dalmata sembrò un uomo d’ancien régime; in lui, in alcune sue convinzioni, dimorava una dimensione pre-nazionale, ovvero le ragioni della nazione cessavano di essere quando si toccavano certi contesti geografici, certe patrie. E tutto ciò capitava in colui che scrisse Dell’italia, uno dei testi base per il nation building italiano.

L’italianità, secondo il Tommaseo, era il prodotto finale di una cultura (più culture) e di una lingua sviluppatesi attraverso i secoli, tanto da diventare il minimo comune denominatore per le regioni disposte tra le Alpi e l’Appennino. Più complessa era la faccenda nell’Adriatico orientale. Nel contesto illirico era la lingua a unire, ma poi c’era il peso delle patrie regionali, ognuna connotata da peculiarità proprie. È l’argomento trattato nello scritto D’un vecchio Calogero, noto anche con la denominazione Ai popoli slavi(33). I confini provinciali derivati dal passato avevano delimitato e creato soggetti territoriali quali la Dalmazia, la Bosnia, la Croazia, il Montenegro e la Serbia, tutti con proprie individualità, nonostante ci fossero stati molti elementi accomunabili e in primis la lingua. In questo caso la Serbia coincideva con il principato autonomo; essa rappresentava in tale disegno poetico-politico l’anello forte della silloge illirica, forse un soggetto troppo forte, secondo il Tommaseo. L’insieme illirico fu per il dalmata il contenitore di tali individualità, e inutile qui specificare le caratteristiche della Bosnia o della Croazia, o del Montenegro. Le popolazioni avevano molto in comune, ma le storie erano differenti e soltanto l’intesa e l’avvicinamento «accorto» tra le parti avrebbe portato benessere e progresso a tutti(34). La Dalmazia, lo avrebbe scritto altrove, aveva un ruolo particolare, di Porta occidentale, di Occidente stesso per gli altri contesti illirici. Per la Dalmazia il Tommaseo auspicava, con parecchio scetticismo («berretti e cappelli»), una possibile nazione autonoma, slava nella sostanza ma di cultura (anche) italiana; sperava in un innesto tra diversi, in una combinazione potenzialmente assai feconda; in ciò seguiva la linea dei vari sostenitori della slavo-dalmatinità, in auge negli anni quaranta(35).

La dimensione illirica non era una dimensione sopranazionale, quanto un nesso di raccordo, che stava al di sopra delle patrie, ossia delle regioni storiche. E noto che il Tommaseo concepiva la Croazia storica come una patria a sé, distinta dalla Dalmazia, e altrettanto valeva per la Bosnia e il Montenegro. Più sfumate e contraddittorie erano le sue posizioni nei confronti della Serbia, intesa sia come fascinosa terra storica sia come concreto principato, un’unità regionale. Come detto, il passato serbo e la sua cultura popolare potevano essere assunti, secondo il Tommaseo, come patrimonio culturale da tutta la comunità illirica. La prova erano i canti popolari dalmati, che avevano molto in comune con quelli esplicitamente serbi(36). Il culto di Marko Kraljević andava dalla costa dalmata alla pianura pannonica, alla Serbia orientale, alla Bulgaria e alla Macedonia. Sappiamo infatti, ma il Tommaseo meno, quanto la costituzione e il popolamento dei Confini militari, dalla Croazia-Slavonia alla Dalmazia, avessero esteso le varianti linguistiche e le varianti culturali inizialmente spostate più a sud-est(37).

Certo, il Tommaseo non era andato oltre i buoni propositi, oltre gli auspici, che oggi suonano utopistici, ma non lo erano attorno al 1840-42. Non ha elaborato, ma siamo prima del 1848, una più sottile definizione di ciò che erano i popoli illirici. D’altronde, far coincidere in Dalmazia la patria con la nazione era come trovare la quadratura del cerchio; e il Tommaseo ne era cosciente; da qui anche l’arditezza del suo pensiero, benché solo abbozzato. Del pari difficile era far coincidere un’unica nazione con il sistema delle regioni nella compagine illirica. Tra il 1840 e il 1845, il Tommaseo non ha voluto sottolineare le differenze tra regioni e popolazioni: il fatto che i serbi fossero ortodossi rappresentava un aspetto trascurabile. La slava, i festeggiamenti del santo protettore, erano stati presentati come qualcosa di arcaico e classico(38). E sì che il Tommaseo di quegli anni si potrebbe definire cattolico liberale. Le distinzioni, come quella tra cappelli e beretti, cioè tra i ceri della Dalmazia, c’erano, ma andavano superate.

Insomma, un quadro generale e uno particolare entrambi complicati. Se c’era una Serbia immaginaria, non meno immaginario era l’Illirico tommaseiano, come pure la Dalmazia (lo avrebbero dimostrato i fatti dopo il 1860). Tutta una serie di piccoli cari mondi per il Tommaseo, il quale non si nascondeva la realtà e non era un illuso. L’antico regime era ben presente — pensiamo alle carovane «turche» condotte da bosniaci, ritratte da Charles Yriarte ancora negli anni sessanta dell’Ottocento, tra Sebenico, Spalato e Ragusa —, mentre incalzavano le nuove idee che cercavano di identificare le masse con un’unità di lingua, di cultura e di appartenenza. Il Tommaseo aveva capito tutto ciò, come del resto altri. Anche in lui troviamo l’entusiasmo di aver scoperto nella popolazione qualcosa di straordinario, troviamo la voglia di plasmare la massa del popolo e l’inevitabile e necessaria utopia.

Forse di più: l’ampio trattato scritto nell’esilio a Corfù nel 1850 dal titolo Italia, Grecia, Illirio, la Corsica, le Isole lonie e la Dalmazia, uno scritto complesso e trascurato dalla storiografia, è stata la prova del voler andare oltre gli steccati definiti dalle nazioni e dalle patrie(39). L’Illirio (i motivi serbi naturalmente qui ritornano) e la Dalmazia compaiono come soggetti a sé. In verità, l’Italia, l’Illirio, la Grecia, la Corsica, le Isole Ionie e la Dalmazia, le nazioni e le terre di confine, le piccole e le grandi patrie sono i contesti e le situazioni amate dal Tommaseo, e rappresentano il Mediterraneo del Tommaseo, una specie di collettivo unicum culturale. In un virtuosismo di erudizione, davvero eccezionale pensando ai gravi problemi che già aveva con la vista, il dalmata aveva tracciato un imponente affresco di legami e richiami (Napoleone e Diocleziano), eredità e comunanze, concordanze e potenzialità (industrie, arti) tra patrie e nazioni solo in apparenza diverse, incontrate nel suo cammino esistenziale. In comune a tutte c’era la classicità, classicità presente nelle arti e nei monumenti italiani e greci, e nei poemi popolari illirici/serbi. Il Tommaseo si spinse, nel momento riflessivo di Corfu, a cercare quello che diremmo oggi una piattaforma, una base comune di un mondo europeo meridionale mevitabilmente teso tra l’antichità, in quanto il perenne, e la modernità, in quanto il nuovo. Una paradossale «pre-moderna modernità» che può essere sempre attuale.

Il presente articolo riprende (invariato nei contenuti) il testo La Serbia immaginaria in Niccolò Tommaseo (1839—1842). Alcuni spunti, testo destinato alla miscellanea in onore di Nikša Stipčević il grande italianista dell’Università di Belgrado. Ringrazio i redattori Mirjana Drndarski e Željko Djurić della Facoltà di Filologia dell’Università di Belgrado, per aver consentito la pubblicazione per gli «Atti dell’Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti».


1. R. CIAMPINI, Vita di Niccolò Tommaseo, Firenze 1945, pp. 255-269; J. PIRJEVEC, Niccolò Tommaseo, tra Italia Slavia, Venezia 1977, pp. 41-43; M. DRNDARSKI, Nikola Tomazeo i naša narodna poezija, Beograd 1989, pp. 9—46.

2. Cfr. le parti relative a Parigi e alla Corsica in N. TOMMASEO, Diario intimo, a cura di R. CIAMPINI, Torino 1946.

3. N. TOMMASEO, Dell’animo e dell’ingegno di Antonio Marinovich, Venezia 1840.

4. DRNDARSKI, Nikola Tomazeo, pp 26-46.

5. E. IVETIC, La patria del Tommaseo. La Dalmazia tra il 1815 e il 1860, in Niccolò Tommaseo: popolo e nazioni. Italiani, Corsi, Greci, Illirici. Atti del Congresso internazionale di Studi nel bicentenario della nascita di Niccolò Tommaseo, Venezia, 23—25 gennaio 2003, a cura di F. BRUNI, Roma-Padova 2004, pp. 595-623.

6. PIRJEVEC, Niccolò Tommaseo, pp. 47-57.

7. N. TOMMASEO, Intorno a cose dalmatiche e triestine, Trieste 1847. Nella dedica in apertura scrive: «Alla città di Trieste questa tessera ospitale uno slavo».

8. M. IBROVAC, Claude Fauriel et la fortune européenne des poésies populaires grecque et serbe, Paris 1966.

9. M. ZORIĆ, Carteggio Tommaseo—Popović. I ( 1840-41), «Studia Romanica et Anglica Zagrabiensia» («SRAZ»), 24 (1967). pp. 169-240; II (1842-43), ivi, 27-28 (1969), pp. 207-240; III (1844), ivi, 38 (1974), pp. 279-337; Parte seconda: I (1845), ivi, 40 (1975), pp. 221-293. Cfr. in particolare l’introduzione, ivi, 24 (1967), pp. 169—174 (note). Inoltre, cfr. M. ZORIĆ, Niccolò Tommaseo e il suo “maestro d’illirico”, «SRAZ», 6 (1958), pp. 63-86; ID., Intorno alle “Scintille” di N.  Tommaseo, «SRAZ», 4 (1957), pp. 53-59.

10. PIRJEVEC, Niccolò Tommaseo, pp. 47—84.

11. DRNDARSKI, Nikola Tomazeo, pp. 69-312; G.B. BRONZINI, La scoperta della poesia popolare. Canti popolari toscani, corsi, illirici, greci (1841—1842), in Niccolò Tommaseo e Firenze. Atti del convegno di studi. Firenze 12-13 febbraio 1999, a cura di R. TURCHI e A. VOLPI, Firenze 2000, pp. 225-25 1.

12. La riflessione più aggiornata in merito rimane quella di N. STIPČEVIĆ, Tommaseo e la Serbia, in Niccolò Tommaseo e Firenze, pp. 253-272. Cfr. pure G. PIERAZZI [J. PIRJEVEC], Nikola Toniazeo i Srbi, in Referati i saopštenja. 6. naučni sastanak slavista u Vukove dane. Beograd-Priština-Tršić, 1976, Beograd 1977, pp. 395-406.

13. N. TOMMASEO, Dei canti del popolo serbo e dalmata, in ID., Intorno a cose dalmatiche, pp. 9-39 (già pubblicato nel «Giornale Euganeo di Scienze, Lettere, Arti e varietà», 9/11, 1844); M. ZORIĆ, La Prefazione ai “Canti del popolo dalmata” di Niccolò Tommaseo, «SRAZ», 38 (1974), pp. 213-236.

14. N. TOMMASEO, D’un vecchio Calogero (Spisi starog kaluđera), «SRAZ», 41—42 (1976), pp. 583—629; M. ZORIĆ, Le prose “D’un vecchio Calogero” di Niccolò Tommaseo, ivi, pp. 555-582. Cfr. pure PIRJEVEC, Niccolò Tommaseo pp. 9-81.

15. DRNDARSKI, Nikola Tomazeo, pp. 69-81, in particolare pp. 72-74. Cfr. pure N. STIPČEVIĆ, La presenza del Tommaseo nella letteratura serba, in Niccolò Tommaseo nel centenario della morte, Firenze 1977, pp. 571-581; ID., Prisustvo Nikole Tomazea u srpskoj književnosti, in ID. Dva preporoda. Studije o italijansko—srpskim kulturnim i političkim vezama u XIX veku, Beograd 1979, pp. 13-61.

16. TOMMASEO, Dei canti del popolo serbo, pp. 9-35: N. TOMMASEO, Prefazione, in ID., Canti popolari toscani, corsi, illirici, greci, vol. IV. Canti illirici, Venezia 1842, pp. 9—24.

17. DRNDARSKI, Nikola Tomazeo, pp. 32-40, pp. 72-85, pp. 175-190.

18. Ibid.

19. F. BRUNI, Tommaseo «quinque linguarum», in Niccolò Tommaseo: popolo e nazioni, pp. 3-35.

20. A. BOUÉ, La Turquie d’Europe ou observations sur la géographie, la géologie, l’histoire naturelle, la statistique, le mœurs, les coutumes, l’archéologie, l’agriculture, l’industrie, le commerce, les gouvernements divers, le clergé, l’état politique de cet empire, Paris 1840; C. FAURIEL, Chants populaires de la Grèce moderne, Paris 1824; A.—J. BLANQUI, Voyage en Bulgarie,pendant l’anné 1841, Paris 1843.

21. A. DE LAMARTINE. Souvenirs, impressions, pensées et paysages pendant un Voyage en Orient 1832-1833 ou Notes d’un voyageur, Frankfurt, a/M 1854.

22. TOMMASEO, Canti illirici.

23. Ibid.; vedi inoltre STIPČEVIĆ, Tommaseo e la Serbia.

24. TOMMASEO, Canti illirici, pp. 9-24; TOMMASEO, Di canti del popolo serbo, pp. 14-23.

25. «Ad illustrare le origine slave gioverebbe discernere dal medesimo ceppo due grandi famiglie, le quali la stessa natura par che intendesse accuratamente distinguere. La più antica, e però la più pura schiatta slavenica è, secondo me, quella che dall’onde de’popoli mano mano incorrenti è stata addentro portata nel mezzodì d’Europa: e che dalla Serbia raggiò nella nostra Dalmazia, e forse in antico popolò buona parte delle coste d’Italia. Questa è stirpe Caucasea pura: e lo dice la forte bellezza de’corpi e l’ampia serenità degl’ingegni. L’altra famiglia, che tiene del finnico, si fermò tra i geli di Russia. Mediatrice fra i due rami, odiata dagli slavi Camitici, amata da tutta la gente Giapetica, sta la Polonia. La Polonia e la Serbia (con la Dalmazia insieme), sono, a mio vedere, i due centri dell’incivilimento degli Slavi futuro». Ibid., pp. 35-36. Vedi ZORIĆ, La Prefazione, pp. 267-268. Nel Carteggio Tommaseo-Popović è ricorrente, tra il 1840 ed il 1845, il concetto di illirico, sia inteso come lingua sia come popolazione. Cfr. pure A. AGNELLI, Il destino dei popoli slavi nella prospettiva europea di Niccolò Tommaseo, in Niccolò Tommaseo e Firenze, pp. 85—109.

26. «In Marco Kralievic è ritratta intera la gente illirica co’suoi pregi e difetti: valore tra selvaggio e gentile, giovialità franca e fìera, intemperanza del bere, temperanza delle bestiali voluttà, religione pia in Dio e nella famiglia; probità coraggiosa, illibata», in TOMMASEO, Canti popolari illirici, p. 101.

27. Sull’illirismo cfr. S. MATTUGLIA, Panslavismo e illirismo. Una rassegna sulle origini dello jugoslavismo, «Quaderni Giuliani di Storia», XV/2 (1994), pp. 137-165.

28. N. TOMMASEO, Iskrice, izdao Ivan Kukuljević Sakcinski, Zagreb 1844; ID., Iskrice (Drugo popravljeno izdanje), Zagreb 1848; N. TOMMASEO, Iskrice, izdao Ivan Kukuljević Sakcinski, Zadar 1849. I termini illirico/illirici sono stati interpretati in modo aleatorio dai curatori dell’edizione croata e serba; cfr. ID., Iskrice, edizione a cura di I. MILČETIĆ, Zagreb, Matica Hrvatska, 1888; N. TOMMASEO, lskrice, edizione a cura di D. PETRANOVIĆ, Beograd-Zagreb, Srpska Književna Zadruga, 1898. Vedi pure D. ROKSANDIĆ, Niccolò Tommaseo: prospettiva storica sulle appropriazioni culturali e ideologico—nazionali croate e serbe, in Niccolò Tommaseo: popolo e nazioni, pp. 625—639.

29. N TOMMASEO, Nuovo dizionario dei sinonimi della lingua italiana, Firenze 1838, p. 1644, voce Nazione.

30. È il noto passo delle lskrice (brano XII) in versione italiana, in N. TOMMASEO, Scritti editi e inediti sulla Dalmazia e sui popoli slavi, a cura di R. CIAMPINI, Firenze 1943, p. 3. In originale, TOMMASEO, Iskrice, Zadar 1849, p. 38.

31. Per comprendere la geografia mentale del Tommaseo è fondamentale lo scritto risalente al 1850, steso a Corfù, dal titolo Italia, Grecia, Illirio, la Corsica, le Isole Ionie e la Dalmazia, ora in TOMMASEO, Scritti editi e inediti, pp. 225-357. Il testo fu incluso in varie edizioni del volume Geografia Storia moderna universale, Milano 1857; Compendio di Geografia, Milano 1861 (Appendice all’Italia di Niccolò Tommaseo, pp. 142-228).

32. Lepisodio è noto; il Tommaseo scrisse alcuni opuscoli (veri e propri saggi) in difesa dell’autonomia amministrativa della Dalmazia nei confronti delle aspirazioni della Croazia-Slavonia: un buon riassunto lo troviamo in PIRJEVEC, Niccolò Tommaseo, pp. 182-225.

33. TOMMASEO, Scritti editi e inediti, pp. 85-107; ID., D’un vecchio Calogero, pp. 583-629.

34. TOMMASEO, Scritti editi e inediti, pp. 103—107. Cfr. inoltre PIRJEVEC, Niccolò Tommaseo, pp. 79—84.

35. J. VRANDEČIĆ, Dalmatinski autonomistički pokret u XIX. stoljeću, Zagreb 2002, pp. 61-81.

36. DRNDARSKI, Nikola Tomazeo, pp. 221—312.

37. Ibid..

38. TOMMASEO, Canti popolari illirici, p. 86.

39. TOMMASEO, Italia, Grecia, Illirio.


RIASSUNTO

Niccolò Tommaseo, con il ritorno in Dalmazia nel 1839, riscoprì la slavità della propria terra natale: l’amicizia con Spiridione Popović lo avvicinò al cosiddetto illirico (il croato o serbo) e lo motivò a conoscere la cultura serba, in particolare la poesia popolare. Ben presto elaborò una visione immaginaria idealizzata della Serbia, di fatto lontana dalla realtà. Le presunte virtù serbe, il coraggio e l’umiltà, dovevano diventare parti della cutura e della mentalità delle popolazioni che abitavano nell’Illirico, che il Tommaseo intendeva formato dalla Dalmazia, la Bosnia, la Serbia, la Croazia e il Montenegro. Nelle tradizioni serbe, il Tommaseo in verità cercava i resti di una classicità virtuosa, etica e culturale, un mondo che egli aveva riscontrato nelle piccole patrie mediterranee in cui aveva vissuto, come appunto la Dalmazia e la Corsica, le parti dell’Italia, o come la Grecia, che ancora non aveva visitato, ma che altrettanto idealizzava.


ABSTRACT

Niccolò Tommaseo’s return to Dalmatia in 1839 allowed him to rediscover the Slavic nature of his birth places; his friendship with Spiridione Popović gave him to get to know Serbian culture, popular poetry in particular. He quickly built up an imaginary, idealised picture of Serbia, though this had little to do with reality. The presumed Serbian virtues of courage and humility should have been part of the culture and mentality of the people living in Illyria, which Tommaseo intended as being made up of Dalmatia, Bosnia, Serbia, Croatia and Montenegro. In reality, Tommaseo sought the remains of a virtuous, ethical and cultural classicism in Serbian traditions; a world he had found in the small Mediterranean lands in which he had lived, such as Dalmatia, Corsica and parts of Italy, and in Greece, which he had not visited, but had idealised in much the same way.


Egidio Ivetic, Il Tommaseo e la sua Serbia immaginaria. Nota presentata dal socio corrispondente Giuseppe Gullino nell’adunanza ordinaria del 19 marzo 2005, Estratto dagli ATTI DELL’ISTITUTO VENETO DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI, Tomo CLXIII (2004-2005) – Classe di scienze morali, lettere ed arti, pp. 273-285.

На Растку објављено: 2008-08-20
Датум последње измене: 2008-08-20 21:42:24
 

Пројекат Растко / Пројекат Растко Италија