Sergio Bonazza
Echi del Barocco nella cultura letteraria slovena
1. Il Barocco in Slovenia: gli antefatti
Per consolidata tradizione si definisce il secolo XVII come il secolo del Barocco, tanto che il termine Seicento o secentismo viene spesso equiparato, per antonomasia, a Barocco. Nella convenzione della critica letteraria sul Barocco, tuttavia, si ammettono e si giustificano sempre ampi sconfinamenti temporali “di lunga durata”: alludo alla continuità verso e ben dentro il Settecento da una parte, e a possibili anticipazioni nel Cinquecento, dall'altra. In questo secondo caso è nota l'esistenza, nel Barocco, di prefigurazioni o motivi presenti in quel Manierismo rinascimentale che era attivo già nei primi decenni del secolo XVI.
Ci limiteremo qui a osservare che, nel caso della Slovenia, sarà sufficiente addentrarsi nel Cinquecento di un paio d'anni rispetto all'inizio del XVII secolo: senza soffermarci su questioni generali d'interpretazione dell'idea di Barocco o su questioni di estetica e di pura stffistica; infatti, il mese di ottobre del 1598 segna un momento decisivo per ogni argomentazione sul “Barocco in Slovenia”. Per comprendere il “caso sloveno” nel generale movimento del Barocco europeo occorre non fermarsi alle fredde scansioni temporali ma, piuttosto, mettere a fuoco qualche antefatto risalente al Cinquecento.
Nel secolo XVI anche in Slovenia (allora spesso denominata Ducatus Carniolae) si verificarono importanti e fecondi sviluppi letterari analoghi a quelli derivati dal generale e diffuso rinascimento degli studi e dallo sviluppo della produzione editoriale in tutta Europa. La rivoluzione gutemberghiana e la diffusione del libro a stampa sono i segnali tipici della prima età moderna. Come nell'ambiente germanico, così anche in Slovenia la fissazione del linguaggio popolare in scritti a larga diffusione e di facile disponibilità avvenne in buona parte per impulso di una forte spinta religiosa di carattere riformato e/o riformatore in campo ecclesiastico. L'operazione culturale dei riformatori sloveni si sistematizzò rapidamente in un vasto programma di interventi organici e ben calcolati.
Catechismo e abbecedario furono i primi testi a essere stampati in sloveno. Un autore si impegnò a tradurre in lingua volgare il Nuovo Testamento, un altro procedeva alla traduzione completa della Bibbia. Maestri e cultori della lingua parlata si preoccuparono di fornire una grammatica per normalizzare sintassi e ortografia. L'opera proseguì con l'edizione di un dizionario e numerose raccolte di canti devozionali, fatto che fu fondamentale per la costituzione di ritmi poetici in volgare.
Una peculiarità di rffievo del Rinascimento riformatore in Slovenia fu l'attenzione editoriale verso l'infanzia e l'adolescenza. Si arrivò alla cura di un'antologia di testi biblici e di preghiere destinata esplicitamente alle letture degli scolaretti. La Bibbia per ragazzi slovena è considerata uno dei primi esempi in Europa della letteratura per l'infanzia. Tra i libri stampati in sloveno va ricordato inoltre l'ordinamento liturgico e organizzativo della Chiesa riformata locale. Tanto basti per rendersi conto del contributo sistematico e consapevole che l'area slovena dette allo sviluppo della Riforma.
Situata in un punto nodale della disposizione geopolitica del Cinquecento, l'originalità della sua cultura e del suo ambiente venne sempre più messa a repentaglio e spinta ai margini dello sviluppo sociale e culturale dal conflitto terribile che oppose protestanti e cattolici nel Cinque e Seicento mitteleuropeo. La Slovenia, infatti, costituiva quasi un perno a triangolo sottoposto a tre tipi di spinte contrapposte: da un lato la civiltà mercantile veneziana; dall'altro la tradizione feudale rappresentata dagli Asburgo a retroterra tedesco e mitteleuropeo; il terzo lato lo si individua nel fatto che il Ducato si trovava sulla direttrice strategica dell'espansionismo imperiale turco e musulmano. In questo nodo-snodo (a sezione triangolare) della perimetrazione europea il movimento protestante ebbe più di mezzo secolo per radicarsi nelle chiese plebane e in tutte le categorie cittadine e aristocratiche della Slovenia.
Infatti, mentre nelle regioni circonvicine (Tirolo, Salisburgo e Baviera) ogni variante religiosa popolare sospetta di anticonformismo venne subito perseguitata dalla consorteria feudale capitanata dagli Asburgo, la Slovenia sfuggì abbastanza a lungo alle misure imperiali tese all'estirpazione dell'eresia: misure che possono considerarsi concentrate nell'infausta regolamentazione del Cuius regio, eius religio — il compromesso augustano del 1555. Anche la pressione turca sui domini della casa d'Austria contribuì notevolmente a spostare l'introduzione della Controriforma in Slovenia fino allo scadere del secolo, più precisamente al decisivo anno 1598. Si stima che ancora alla fine del secolo l'ottanta per cento degli abitanti della Slovenia orientasse le sue simpatie verso gli ambienti riformati, assumendo in certi casi decisi atteggiamenti anticattolici.
In quegli anni, segnati dalla prudenza dell'imperatore Rodolfo II in campo religioso, il territorio sloveno venne dato in gestione al giovane Ferdinando arciduca d'Austria, governatore di Stiria, Carinzia e Carniola. Educato nel Collegio gesuitico di Stiria, il giovane sovrano impostò nei territori concessi in suo potere un esperimento politico di totale e piena azione di Controriforma. Autoritario e intollerante, nell'ottobre del 1598 l'arciduca stroncò con un decreto la rinascita letteraria nel Ducatus Carniolae, che a fronte di un solo libro stampato secondo la devozione cattolica (un testo oggi smarrito e citato da fonti protestanti) aveva saputo creare una fiorente e organica editoria, una scuola, una stamperia e una biblioteca pubblica a Lubiana: centri visibili su cui esercitare una concreta azione politica. Il decreto arciducale del 1598 disegna un compiuto programma di estirpazione della “infezione” protestante.
Adottando metodi già collaudati in altre regioni, l'arciduca procedette alla creazione di un'efficiente Commissione per la riforma cattolica alla cui guida pose il vescovo di Lubiana Tomaž Hren appena nominato. Munita di doppia credenziale, tridentina e asburgica, la Commissione procedeva, con visite pastorali svolte di città in città, a chiedere al popolo riunito in piazza il giuramento di fedeltà, a raccogliere e distruggere arredi sacri e libri “eretici”. Ben undici carri di libri alimentarono il rogo dell' autodafé della letteratura slovena sulla piazza di Lubiana. Particolarmente duro fu il decreto che impose l'espulsione di predicatori e maestri protestanti «entro il calar del sole» (contro le due settimane generalmente concesse in altre regioni dell'Impero). Ciò impedì il salvataggio delle biblioteche, provocando un'emorragia imponente che tagliò alla base le prospettive di un Barocco locale e impose lo schema del Barocco come pura Controriforma. Chiusa la biblioteca pubblica di Lubiana, eliminata la scuola cittadina (degli “Stati”), soppressa la tipografia locale, espulsi maestri e predicatori, si «fece un deserto e lo si chiamò pace» come direbbe Tacito. Ultimo atto, trent'anni dopo, nel 1628 la Commissione chiuse i lavori con l'espulsione dei nobili ancora legati alla Riforma protestante.
Non deve stupire quindi il fatto che i protagonisti del Seicento letterario barocco sloveno siano ridotti a un vescovo, la Compagnia di Gesù, alcuni Cappuccini, un nobile erudito che si esprime in tedesco, un'Accademia arcadica e alcuni ecclesiastici poligrafi. La quantità di prodotti letterari reperibili (alcuni rimasti inediti) riproduce in maniera ridotta lo sforzo già sviluppato nel Cinquecento. Il Barocco è il periodo più modesto nella storia letteraria slovena. Eccezione fatta per Tomaž Hren, i delegati della cultura controriformista, ossia i vescovi di Lubiana, vennero scelti esclusivamente fra cortigiani d'origine foranea. Interessati e competenti di mode e modi barocchi, essi ricoprirono il territorio di magnificenze visive e di messaggi architettonici orientati decisamente sul linguaggio cosmopolita di palazzi, chiese, calvari, fontane e frontoni decorati di iscrizioni latine in oro e marmo. Questo trionfo delle arti e dell'ornamentazione pubblica trasformò radkalmente l'aspetto della città e del paesaggio sloveno, portando ai fasti barocchi e a livello europeo la grazia e gradevolezza della regione.
2. Tomaž Hren e la letteratura della Controriforma
Come esecutore della politica dell'arciduca Ferdinando, il vescovo Tomaž Hren si assunse il compito di demolire l'edificio letterario della Slovenia riformata, rischiando di nome e di fatto d'apparire come lo sterminatore della espressività in sloveno. In realtà, nel prosieguo della sua multiforme attività pastorale e di funzionario statuale, da intelligente interprete dei dettami controriformistici, ebbe il paradossale ruolo di salvatore di una (sia pur limitata) attività letteraria in Carniola. Il confronto del prelato lubianese Hren con vescovi come il nobile Scarlichi, il conte Buchheim (più a corte che a Lubiana), un conte Rabatta nominato vescovo prima di essere ordinato sacerdote, un von Herberstein e via discorrendo fino a vari altri nobili, patrizi e conti titolati tutti stranieri (Kunburg, Kauniz, Leslie, Schrattenbach, Attems e Petazzi), conferma la validità di questa tesi fino al 1772. Va sottolineato il fatto che questi prelati messi in cattedra, fra l'altro, non conoscevano neppure la lingua locale e, in quanto stranieri e nobili, rimasero sempre lontani ed estranei non solo alle aspirazioni di sudditi laici ma anche ai problemi del clero minore. Essi poco si curarono della produzione di scritti, anche solo devozionali, in sloveno.
Tomaž Hren ( 1560-1630) nacque a Lubiana da una famiglia riformata di condizione non nobile ma autorevole. La possibilità di una carriera al servizio di principi o signori, secondo la tradizione rinascimentale italiana o riformata locale, venne meno con l'avvento del processo di ricattolicizzazione e ristabilimento dell'autorità asburgica. Dopo un periodo di formazione di tipo rinascimentale a Vienna, egli completò gli studi presso il Collegio dei Gesuiti a Graz distinguendosi come uomo di piena fiducia dei nuovi principi. Quale canonico e oratore della Dieta si mise in luce con un ampio discorso antiprotestante. Un uomo colto quindi, e ben schierato tra partiti e fazioni in lotta. Divenuto vescovo di Lubiana nel 1599 e messo a capo della Commissione di ricattolicizzazione, si distinse a tal punto che dal 1614 al 1621 fu impiegato a Graz quale luogotenente del principe.
Una carriera, per i tempi, folgorante. In sloveno Hren compose la formula giuridico-teologica necessaria per il giuramento di fedeltà alla religione cattolica (1600). Nel 1604 pubblicò il decreto sinodale tridentino sul sacramento del matrimonio. L'atto giuridico pastorale venne emesso in latino, tedesco e sloveno. Tornato dal settennato di soggiorno luogotenenziale a Graz, tradusse nel 1621 l'indulgenza papale, e nel 1624 compose tre preghiere in sloveno a uso del clero minore. Quantitativamente e qualitativamente abbiamo a che fare quindi con una produzione che pare modesta e orientata alla propaganda fide, ma altri segnali fanno intravedere l'esistenza di una preoccupazione reale per il linguaggio popolare.
Hren infatti tentò di fondare una tipografia per la stampa di testi in sloveno e, sia pure con prudenza, sollecitò i Gesuiti a prenderne la direzione e a esercitare la loro alta sorveglianza. Non fu certo colpa sua se l'iniziativa non vide la luce, principalmente perché la Compagnia di Gesù intendeva puntare sul latino come lingua religiosa per eccellenza. Più indicativo, come segnale d'attenzione al problema, è la protezione letteraria e teologica che, come vescovo, accordò al giovane gesuita Janez Čandek.
Nel 1612 Janez Čandek (1581-1624), anche lui allievo del Collegio di Graz, veniva incontro a un desiderio del vescovo Hren componendo un Lezionario sloveno. Dopo la necessaria revisione linguistico-teologica, l'anno successivo il prelato pubblicò il testo come edizione ufficiale della Curia, senza il nome dell'autore, col titolo Evangelija inu listuvi ( Evangeliario ed Epistole ).
Hren ebbe cura di eliminare dal Lezionario le parole straniere accettando la scelta, quasi obbligata, fatta dal Čandek di utilizzare lessico e ortografia già entrati nell'uso editoriale dei riformati. Così si preservò una certa continuità letteraria dello sloveno. La fortuna dell'iniziativa fu duratura, il libro venne ristampato più volte nel corso del Sei e Settecento e si affiancò, nell'uso liturgico, alla “mole” della Bibbia in sloveno già edita da Jurij Dalmatin nel 1584. Questo capolavoro della cultura protestante rimase in uso presso il clero cattolico la cui attesa che i vari tentativi di nuova traduzione con imprimatur andassero alle stampe non venne soddisfatta per lungo tempo.
Nel 1615, accanto al Lezionario, il Čandek potrà far pubblicare ad Augsburg una traduzione del Catechismo tridentino composto da Peter Canisius. Segno tangibile, anche questo, di una continuità nella attenzione pastorale verso lo sloveno.
3. Il caso Alasia da Sommaripa: un vocabolario italiano-sloveno
Del tutto diversa, e quasi scostata dalla dominante struttura di potere tipicamente autoritaria, è l'opera di un servita piemontese: Alasia da Sommaripa (ca. 1578-1626), un intellettuale e organizzatore appartenente a quel basso clero di umili frati e monaci che, animati da fervore religioso, sopperirono, nel corso del secolo, alle esigenze dei credenti e dei sacerdoti impegnati sul campo. Chiamato dai conti Della Torre di Duino, Alasia di Sommaripa lasciò Roma dove aveva già dato prove di energica iniziativa e poliedrica capacità. Mentre curava l'edificazione di un convento a Duino per farne una base di ricattolicizzazione, il Sommaripa si preoccupava di fornire al contempo lo strumento principe della letteratura ai suoi confratelli italiani destinati a muoversi nel nuovo ambiente. Il suo Vocabolario Italiano e Schiauo (Udine 1607) fu il primo libro a stampa di ispirazione totalmente cattolica destinato alla Slovenia in epoca controriformista. Tanto più che il Sommaripa integrò il Vocabolario con una serie di testi esemplari per l'immediata utilità del missionario. Si tratta di formule per l'introduzione alla lettura del Vangelo domenicale, l'inizio e la fine di una predica e altri analoghi testi canonici indispensabili per le funzioni sacerdotali, quali cinque canti religiosi e alcuni dialoghi in sloveno.
4. Il ruolo della letteratura scientifica
Con la scomparsa del vescovo Tomaž Hren inizia un mezzo secolo di silenzio letterario; dal 1628 al 1672 si hanno notizie solo di lettere pastorali o manoscritti d'occasione e d'utilità pratica che non fanno storia, tanto meno storia letteraria.
La ripresa di libri a stampa in sloveno è lentissima. Nel 1672 un sacerdote, già gesuita, di lontana origine tedesca, figlio del borgomastro di Lubiana, Johann Ludwig Schoenleben (1618-1681), si prende cura di una nuova edizione del Lezionario di Hren Evangelija inu listuvi (1613). Interessante è notare che l'ortografia e la lingua dello Schoenleben appaiono, nelle aggiunte e integrazioni, meno sicure e vivaci rispetto al testo precedentemente curato dal vescovo Hren. Un cinquantennio di silenzio pesa.
Il Schoenleben fu noto e apprezzato in ambito austriaco e vaticano ma, come uomo di cultura gesuitica, non registrò mai per iscritto le sue prediche in sloveno, utilizzando per le omelie e altre opere a stampa il latino e il tedesco. Forte del suo prestigio, riuscì a rifondare una tipografia a Lubiana. Alla Slovenia quindi dedicò due memorie storiche dal titolo Aemona vindicata (1674), e una storia araldica sulle famiglie notabili di Carniola. Fondamentale è la vasta e impegnativa opera storica Carniola antiqua et nova (1681) che tratta delle vicende in Slovenia fino all'anno Mille. Interrotta dalla morte, questa sua ultima impresa sarebbe stata ripresa, approfondita e continuata dal celebre Valvasor, membro, da Lubiana, della Royal Society di Londra.
Johann Weichard Valvasor (1641-1693) dedicò tutta la sua vita e spese le sue immense ricchezze per rendere illustre la sua terra facendola conoscere al pubblico colto d'Europa attraverso Io strumento principe dell'incisione di paesaggi barocchi. Nato a Lubiana da un lignaggio di origine italiana ma totalmente immerso nella cultura asburgico-tedesca, egli organizzò nel castello avito un'officina incisoria dotata di torchio, di un'imponente biblioteca e di un'ampia gamma di strumenti scientifici. Per sua iniziativa i disegnatori e stampatori dell'officina prepararono numerosi volumi illustrati di contenuto vario che andava dalle danze macabre ai detti ovidiani. Alcuni di questi libri, seppur scritti in tedesco o latino, ebbero significato fondamentale per la cultura slovena. Ciò vale in particolare per le opere topografico-storico-antropologi che che più esattamente rispondevano ai criteri di “scientificità” tipici dell'età del Barocco. Si tratta di un lavoro sistematico che rese nota la regione al suo popolo e all'Europa con un ampio spettro di notizie e immagini che andavano dalla scoperta di fenomeni carsici a un atlante enciclopedico completo. I quattro volumi del suo capolavoro, Die Ehre dess Herzogthums Crain (1689), raccolgono e verificano, partendo dall'archivio e spaziando per il territorio, ogni aspetto notevole della Slovenia: monumento a stampa, di pura cifra visiva, che illumina di bellezza e varietà il Barocco in Slovenia.
5. La letteratura barocca
La prima manifestazione letteraria barocca della Slovenia è legata al nome di Matija Kastelec (1620-1688) e appare nel tardo Seicento. Semplice canonico a Novo Mesto, poligrafo versato in numerose discipline e di interessi vari, anche filologici, egli scrisse una raccolta di preghiere, formule di confessione e canti per la sua confraternita di devoti, dal titolo Bratovske bukvice sv. roženkranca [ Libriccino della confraternita del Santo Rosario ] stampata nel 1678. Seguendo il filone misticheggiante di Tommaso da Kempten scrisse delle meditazioni non prive di originalità come il Nebeški cilj [ La metà celeste, 1684], e compilò un Navuk kristjanski [ Dottrina cristiana, 1688], tipico esempio di devotio cristiana per il raggiungimento della salvezza celeste. Anche per Kastelec, come già per Hren e Čandek, il modello linguistico fu quello derivato dall'opera di sistemazione lessicale e ortografica dei protestanti. Il Barocco si rivelava a livello contenutistico ed espressivo.
La Controriforma celebrò i suoi trionfi barocchi grazie all'attività dei numerosi religiosi che si dedicarono alla produzione di prontuari per i confratelli predicatori. Questo tipo di letteratura si sviluppò soprattutto ad opera dei Cappuccini “popolareggianti” che lentamente scalzarono la predominanza ideologica della elitaria Compagnia di Gesù.
Il più noto e brillante fra gli scrittori del tempo fu il cappuccino Janez Svetokriški (1647-1714), al secolo Tobia Lionelli. In cinque volumi di omelie, stampati a Venezia e Lubiana tra il 1691 e il 1707, e costruite secondo il tipico schema retorico temano di exordium, confirmatio e conclusio, Svetokriški affrontò nel suo Sacrum promptuarium i temi dominanti e le inquietudini del suo secolo: dalla peste alla carestia, dai Turchi minacciosi al pagamento delle decime cristiane. Tra aneddoti e riferimenti mitologici o simbolici, il Barocco dei predicatori si dipana con tutta la sua ampiezza d'argomenti, d'immagini e di stile. Un altro cappuccino, Michael Rogerius (1667-1728), segui l'esempio del predecessore e raccolse tutto il suo operato di 126 prediche su santi e festività nel Palmarium empyreum, uscito a stampa in due volumi (Klagenfurt 1731, Lubiana 1743).
Prendevano spunto dal metodo razionale degli esercizi spirituali di Sant'Ignazio le prediche raccolte in un volume dal padre gesuita Jernej Basar (1683-1738). Le sue omelie si discostavano volutamente sia dal linguaggio popolaresco dei Cappuccini che dal ritmo della Bibbia dei protestanti. Il titolo condensa in sé un'esigenza di chiarezza didascalica e, insieme, di ricercatezza retorica velata dall'umiltà: Pridige iz Bukvic, imenovanih Exercitia s. očeta Ignacija, zložene na vsako nedelo čez lejtu [ Prediche tratte dal libretto che si chiama Exercitia del santo Padre Ignazio e composte per ogni domenica dell'anno, 1734].
Recenti indagini d'archivio hanno recuperato ulteriori testimonianze del fervore omiletico nell'ambito del Barocco sloveno. Accanto a Padre Angelik, che operò a Kranj lasciando consistenti documentazioni manoscritte, sono da citare gli autori Peter Pavel Glavar (1721- 1784) e Carlo Michele d'Attems (1711-1774), entrambi di nobile estrazione. Essi svolsero un ruolo culturale e istituzionale importante nell'area slovena.
Il Glavar era figlio illegittimo del barone Pietro Giacomo Testaferrata, nativo di Ascoli Piceno, poi divenuto Cavaliere di Malta. Abile negli affari, egli visse delle ricchissime rendite del suo latifondo nel castello di Lanšprež. Agli studiosi era noto da tempo per la sua attività di riformatore dell'agricoltura e per l'impegno pedagogico e sociale: quasi un antesignano del paternalismo illuminato degli Asburgo. Della sua attività letteraria, rimasta ignorata per due secoli, sono state ritrovate importanti testimonianze in numerosi manoscritti contenenti le sue prediche che, recentemente, sono state pubblicate.
Analogo è stato il destino delle omelie tardo-barocche scritte in sloveno da Carlo Michele d'Attems, primo arcivescovo di Gorizia: esse sono state finalmente edite per la prima volta soltanto di recente, sulla base di alcuni manoscritti appartenenti ad archivi privati.
6. La risistematizzazione della lingua
All'alba del Settecento, per la lingua letteraria slovena, restava aperto il capitolo della definitiva codificazione ortografica e lessicale: una vicenda che occupò il secolo XVIII a partire dal 1711, da quando cioè un cappuccino si apprestò a pubblicare il primo dizionario dell'epoca della Controriforma. Padre Hipolit (Janez Adam Gaiger, 1667-1722) si era posto il problema di fondo: fissare definitivamente il lessico. Giunto alla stampa del frontespizio e della prima pagina del suo Dictionarium trilingue (latino-tedesco-sloveno), egli scoprì presso la tipografia la Grammatica slovena del protestante Adan Bohorič, sopravvissuta, dal lontano 1584, per li rami e fondi d'officina. Hipolit ebbe un'illuminazione: fermò ipso facto il torchio e si gettò sulla revisione della grammatica di Bohorič, preparandone la sua riedizione col titolo Grammatica latino-germanico-slavonica (1715).
Il dizionario di Hipolit non uscì, ma la sua strategia, ripresa dai Gesuiti, portò nel 1744 alla ristampa notevolmente allargata del Dictionarium quatuor linguarum (latino, tedesco, sloveno e italiano) già pubblicato a Graz nel 1592 a cura del protestante Hieronimus Megiser. Indice di una piena ripresa degli studi e di una conciliazione di opposte tendenze appare quindi la ristampa della grammatica di Bohorič-Hipolit (ormai nel 1758) intitolata dai Gesuiti Grammatika oder windisches Sprach-Buch. Corredata da un agile dizionarietto tedesco-sloveno-italiano, l'opera avrebbe consentito, da quel momento in avanti, di diritto e di fatto, la produzione di numerosi stampati liturgico-propagandistici: in particolare catechismi, raccolte di canti religiosi e scritti edificanti che giunsero alla fine del Settecento.
7. Dal teatro all'Accademia
Se si deve trarre un bilancio dell'attività letteraria che abbiamo preso in considerazione — un secolo e mezzo a partire dal 1598 — non si può non ammettere che essa è stata stentata ed eterodiretta. Essa è stata in certo senso sostituita e integrata nei fatti da un'esuberante attività estetica in campo visivo e architettonico o urbanistico. Quasi si potrebbe dubitare dell'opportunità di parlare di un Barocco letterario sloveno se due tipiche manifestazioni di cultura letteraria barocca non venissero a testimoniare di una sua reale presenza in Slovenia: alludiamo alle sacre rappresentazioni e alle accademie arcadiche. In lingua slovena, possediamo un paio di tracce scritte per sacre rappresentazioni. Il primo esemplare è del 1617. Il genere andò acquistando imponenza ed espressività drammatica col passare del tempo, grazie anche alla competizione e integrazione con altri tipi di rappresentazioni gradite a ceti e comunità diverse: drammi edificanti in latino nei collegi dei Gesuiti, teatro borghese tedesco a Lubiana, recite serali degli studenti che, in piazza, declamavano in sloveno. Nel 1721, infine, il cappuccino Padre Romuald si impegnò nella celeberrima Instructio pro processione Locopolitana in die parasceues. Più di mille versi in sloveno, oltre 278 figuranti in costume, tredici quadri recitati, sette corporazioni artigianali impegnate: quel complesso che sintetizzava le processioni di Škofja Loka con espressioni d'impronta drammaturgica attirava dal contado, nella notte, con torce e candele, migliaia di spettatori affascinati. Essa appare come la manifestazione più celebre e trionfale, di duraturo successo (venne ripetuta ogni anno per decenni, fin oltre il secolo), e si conferma come un vero capolavoro di drammaturgia, scenografia e capacità di sintesi simbolica.
Dei 13 quadri, viventi e mobili, rappresentati nel corteo, il più impressionante era sicuramente quello legato al tema medievale e apocalittico chiamato Il Trionfo della Morte. Le sue caratteristiche sono delineate nel secondo quadro della sacra rappresentazione. Il concetto, in sé astratto e unitario, veniva rappresentato dal regista secondo una divisione in quattro campi scenografici strutturati a rombo. In testa, isolata, appariva la Morte incoronata d'avorio, su un destriero candido e con la spada in pugno. La seguivano due cortei a cavallo appaiati: uno di Ecclesiastici (dal papa al cappellano), l'altra di personaggi rappresentanti la Nobiltà e i Cittadini. Questo ceto, curiosamente, comprende tutta la scala gerarchica dall'Imperatore fino al Contadino e al Mendicante. Il Clero, a cavallo, era guidato da una Morte con Clessidra, mentre il Ceto laico seguiva una Morte con Bandiera. Un quarto cavallo simbolico troneggiava sulla massa dei Servi della gleba che camminavano a piedi: un nero stallone trasportava la Morte dalla Falce fienaia, secondo l'iconografia degli affreschi delle danze macabre. La Morte coronata e la Morte falciatrice declamavano la loro potenza in mezzo alla via e si rimandavano il ritornello a giaculatoria:
Oh, voi peccatori, aprite gli occhi e meditate
Tutto ciò che vive giunge alla fine.
Si colloca quasi come un mite contraltare laico e scientifico a questa opulenta sintesi di arti barocche la Academia operosorum, sorta e sviluppatasi nel ceto colto di Lubiana in strettissimo contatto con la rete arcadica d'Europa. Di essa ci resta lo statuto del 1693, Apes academicae operosorum Labacensium, pubblicato nel 1701, in occasione della prima manifestazione ufficiale, con tanto di musica e prolusione. Si presentarono, con lavori poi usciti a stampa, in quella fausta occasione, i ventitré illustri membri, che sarebbero in seguito saliti a quarantotto, ciascuno un luminare nel suo campo, vuoi giuridico o teologico o medico. Nata solo tre anni dopo l'Arcadia romana, l'Accademia di Lubiana ebbe contatti e scambiò onorificenze reciproche con scienziati e letterati di Graz, Vienna, Bologna, Roma e Trieste. Dotti famosi come Giovanni Mario Crescimbeni o il letterato croato Pavel Ritter-Vitezović fecero parte di questo consesso tipico del periodo tardo dell'epoca del Barocco.
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Датум последње измене: 2008-06-27 20:53:08